Dolore cronico: cosa succede?
-
Ti è stato detto che il tuo dolore non si risolverà e non potrai tornare alle attività che ti piacciono?
​
-
Hai mai pensato che nessuno capisce il dolore che hai da anni?
​
-
Ti hanno mai detto che il dolore è "solo nella tua testa"?
​
-
Forse soffri di dolore cronico e nessuno ti ha mai spiegato cosa è e come gestirlo.
​
​
Che cos'è il dolore cronico?
​
​
Il significato di cronico varia, ma può essere definito come dolore a lungo termine, che persiste oltre 3 mesi. Dolore cronico NON significa dolore incurabile, anche se a volte i termini vengono confusi. Il dolore cronico infatti non va inteso come malattia cronica, situazione in cui si sa sin dalla diagnosi che perdurerà nel tempo. Il dolore cronico non necessariamente deriva da una patologia sottostante.
Prendiamo come esempio il mal di schiena: l'80% della popolazione soffre di mal di schiena almeno una volta nella vita; di questi, l'85-90% viene definito aspecifico perché non c'è una reale causa strutturale che lo provoca ma è dato da un insieme di fattori che sono tutt'oggi oggetto di studio; di questo 85-90% a sua volta il 10% diventa cronico, debilitando la vita della persona che ne soffre.
Lo stesso meccanismo può presentarsi anche in caso di mal di testa, mal di collo, dolori aspecifici alle ginocchia, patologie del gomito e altre condizioni.
​
​
Questo accade per diversi motivi che i ricercatori stanno ancora investigando. Quando il nostro corpo sente dolore per un periodo prolungato innesca meccanismi che non solo permettono al dolore di rimanere in assenza di un danno tissutale, ma che a volte causano anche un aumento del dolore stesso senza un attuale peggioramento della condizione che l'ha provocato. Questi meccanismi agiscono sia a livello locale, ossia dove si sente il dolore, sia a livello cerebrale.
​
​
Proviamo a fare un esempio.
​
​
Nella vita di tutti i giorni possono presentarsi due situazioni diverse:
​
-
un giorno siamo in palestra, stiamo facendo un esercizio particolare e all'improvviso sentiamo un dolore alla schiena. Preoccupati andiamo dal fisioterapista, prendiamo qualche antidolorifico, saltiamo gli allenamenti e il dolore scompare in pochi giorni. Ci capita un altro episodio simile una volta ogni tanto, ma la cosa non ci preoccupa perché è facilmente gestibile e sappiamo che la nostra schiena non ha niente che non va.
​
-
pensiamo alla stessa situazione iniziale in palestra, a differenza che questa volta il dolore non dura pochi giorni, ma bensì settimane. Stiamo meglio, ma dopo neanche un mese abbiamo un'altra riacutizzazione. Iniziamo a preoccuparci. Il dolore passa di nuovo. Stesso episodio ricapita una mattina mentre ci infiliamo una calza, rimaniamo bloccati. Questa volta siamo seriamente preoccupati perché iniziamo a pensare che la nostra schiena abbia qualche problema e dobbiamo stare attenti. Il dolore non va via del tutto e rimane un paio di mesi come fastidio di sottofondo, ci sentiamo "legati", non siamo più sicuri di quali movimenti possiamo e non possiamo fare, diminuiamo gli esercizi in palestra per paura di aggravare la situazione. Facciamo una risonanza per escludere problemi seri, ma i risultati mostrano che la schiena è a posto, nessuna condizione a rischio. A questo punto ci preoccupiamo di più, non riusciamo a capire il perché proviamo dolore ricorrente quando in realtà la schiena è a posto. Nel frattempo rinunciamo ad alcune attività come correre o andare in palestra per paura di peggiorare la situazione perché siamo abituati a sentirci dire che la nostra schiena è delicata e non bisogna sforzarla. Il fatto di non andare in palestra influisce sul nostro umore perché è un'attività che ci faceva stare bene; il nostro corpo si indebolisce ulteriormente. La schiena perde forza e flessibilità perché stiamo evitando di usarla e questo contribuisce ad un aumento del dolore. Iniziamo a pensare che è una cosa che dovremo portarci dietro tutta la vita e questo ci obbligherà a rinunciare a molte attività. SIAMO ENTRATI NEL CIRCOLO VIZIOSO DEL DOLORE CRONICO!
​
​
Questo è un esempio, portato agli estremi, di ciò che succede in molti casi di dolore cronico. Gli studiosi stanno investigando a fondo per capire il perché e il come si instaurano questi meccanismi e come si possono interrompere.
​
Una delle spiegazioni è chiamata sensibilizzazione. Abbiamo due tipi di sensibilizzazione, cerchiamo di fare un pò di chiarezza in modo semplice.
​
​
​
​
Sensibilizzazione locale:
Nei tessuti che compongono il nostro corpo abbiamo dei corpuscoli chiamati recettori che permettono al cervello di codificare tutti gli stimoli esterni e interni. Se tocchiamo un pezzo di ghiaccio attiveremo i recettori della temperatura che manderanno al nostro cervello un segnale di freddo. Se tocchiamo un oggetto attiviamo i recettori meccanici che manderanno al cervello segnali di tatto. Se sbattiamo contro uno spigolo attiviamo i recettori detti nocicettivi che manderanno al cervello segnali di dolore.
Lo stesso succede anche all'interno delle nostre articolazioni. Dopo un infortunio ad esempio la presenza di infiammazione attiva i recettori del dolore che permettono al corpo di reagire producendo delle sostanze che tutelano l'area lesa.
L'intensità di dolore che percepiamo, in condizioni normali, è data dall'intensità dello stimolo, che può essere un colpo, un'infiammazione, ma anche un movimento brusco, uno sforzo troppo pesante o tutto ciò che il corpo percepisce come pericolo.
In presenza di dolore cronico questa correlazione si altera. La persistenza a lungo termine del dolore fa sì che i nocicettori (o recettori del dolore) aumentino e diventino più sensibili. Ne deriva che, una volta che il trauma o l'infiammazione passa, il dolore rimane e anche un input tattile o un movimento semplice può essere percepito dal nostro cervello come allarme.
​
​
Sensibilizzazione centrale:
​
immaginiamo due vie che partono dal cervello e vanno in un punto chiamato centro del dolore (il concetto è molto più complesso, ma utilizziamo questo termine per avere un'idea generale). Il centro del dolore determina quanto dolore proviamo in risposta ad uno stimolo.
La prima via trasporta sostanze infiammatorie e altre molecole irritanti (realmente prodotte dal nostro corpo in risposta a processi infiammatori e traumi), la seconda trasporta sostanze che contrastano il dolore.
​
L'intensità del dolore che proviamo in condizioni fisiologiche è data da questa differenza.
Se le sostanze infiammatorie e irritanti saranno di più di quelle antidolorifiche proveremo dolore, intenso quanto maggiore è la differenza. E viceversa.
​
Le sostanze antidolorifiche non vanno intese solo come medicinali perché nella maggior parte dei casi è il nostro corpo che produce le molecole capaci di moderare l'intensità del dolore. Avrete già sentito parlare di sostanze come le endorfine, per esempio, o di ormoni come l'adrenalina; e questi sono solo due esempi.
​
Pensate ad un atleta che va incontro ad una distorsione di caviglia durante il secondo tempo dell'ultima partita di un campionato di basket.
I livelli di adrenalina prodotta dal corpo a causa dell'euforia saranno talmente alti che probabilmente permetteranno all'atleta di finire la gara senza sentire dolore. Appena l'arbitro fischierà la fine del match e i giocatori si siederanno a terra per riprendere fiato, i livelli di adrenalina caleranno e aumenteranno le sostanze infiammatorie: l'atleta inizia a sentire la sua caviglia dolorante.
​
Ci sono molti fattori che influenzano la percezione del dolore e tutti vanno considerati.
​
​
In condizioni fisiologiche però possiamo affermare che ad uno stimolo corrisponde una risposta precisa e calibrata, soprattuto quando lo stimolo è occasionale e di breve durata.
​
​
La sensibilizzazione centrale indica un'alterazione di questi processi.
​
In presenza di dolore cronico infatti può succedere che il corpo produca sostanze dolorifiche in quantità incontrollata e che riduca la produzione delle sostanze antidolorifiche. Succede inoltre che i centri che regolano il dolore a livello cerebrale diventano iperattivi, codificando segnali di allarme anche in risposta a stimoli tattili o meccanici non dolorosi.
​
Nel caso della nostra schiena questo vuol dire che potrebbe bastare un semplice movimento, una postura sbagliata o un leggero stress psicologico a risvegliare un dolore intenso o a causarne la continuità. Il dolore E' REALE e non nella nostra testa, ma è importante considerare che non sempre significa che la nostra schiena sia danneggiata o fragile.
​
​
I meccanismi di sensibilizzazione sono molto più profondi di così e coinvolgono numerose aree del nostro corpo, ma non avvengono necessariamente in tutti i soggetti che soffrono di dolore cronico. Ogni individuo dovrà essere valutato da uno specialista per intraprendere il percorso più adatto a sé.
​
​
Il discorso sul dolore cronico e' MOLTO complesso e intervengono su questo argomento anche fattori come la psiche, la nutrizione, lo stile di vita e tutto quello che ci circonda.
​
​
MA, ATTENZIONE, COME ABBIAMO GIA' DETTO, in assenza di patologia sottostante, DOLORE CRONICO NON VUOL DIRE DOLORE INCURABILE, vuol dire solo che i trattamenti utilizzati per il dolore acuto o a breve termine non avranno effetto, o lo avranno in minima parte.
​
​
​
Di solito, da più tempo si soffre di dolore cronico, per più tempo si avrà bisogno di cure, perché è come se il corpo dovesse venire rieducato.
​
​
A volte la gestione del dolore cronico non coinvolge solo il fisioterapista, ma anche altre figure come lo psicologo, il nutrizionista, o uno specialista in "terapia del dolore".
​
​
MA ALLORA COSA SI PUO' FARE?
​
-
stabilire un punto di partenza e degli obiettivi: questo sarà fondamentale quando il periodo di trattamento durerà a lungo e se le sessioni saranno poco frequenti. Aiuterà a garantire che il trattamento si concentri sul ritorno alle attività desiderate e a stabilire una tempistica guida.
​
-
biomeccanica: il nostro corpo è progettato per funzionare in modo ottimale, determinate strutture sono responsabili di determinati movimenti e di una determinata forza. Spesso con dolore cronico il modo in cui il corpo si muove diventa inefficiente. La prima cosa da fare è "reimparare" a far muovere il corpo in modo adeguato e in cui è stato originariamente progettato. Questo vale sia per attività di base come alzarsi, sedersi, camminare, salire e scendere le scale sia per qualsiasi altro sport o attività che si fanno regolarmente.
​
-
sintomi: trattamenti manuali come massaggio, mobilizzazioni articolari e agopuntura possono dare sollievo a breve termine e sono consigliate durante tutto il percorso per ridurre il dolore e facilitare il movimento, fondamentale per partecipare alle attività sociali di tutti i giorni.
​
​
-
esercizio fisico e condizionamento generale: senza dubbio la maggior parte delle ricerche sul dolore cronico raccomandano fortemente l'ESERCIZIO! E' indicato chiaramente che prima possiamo tornare a fare attività fisica regolare e ripristinare la forma fisica e la forza, prima il dolore si ridurrà e si potranno raggiungere gli obiettivi prefissati. Questo ovviamente deve essere fatto gradualmente e sotto la guida del fisioterapista in collaborazione col personal trainer, per non rischiare riacutizzazioni e arretramenti non necessari.
​
​
-
motivazione: è facile rimanere motivati ​​per alcune settimane, è difficile essere motivati ​​per mesi o anni. Tuttavia, migliaia l'hanno fatto e ancora molti saranno in grado di farlo se si è pronti a collaborare dall'inizio. Il processo di recupero è simile a quello di qualsiasi infortunio, vuol dire che non sarà un andamento lineare, ma ci saranno alti a bassi continuamente fino ad arrivare ad un equilibrio. Il fisioterapista e le altre figure eventualmente coinvolte saranno sempre di sostegno lungo tutto il percorso per aiutare a tenere alta questa motivazione.
​
​
-
esami diagnostici e rinvii a medici / altri specialisti: a volte abbiamo bisogno di approfondimenti o altre indagini per scoprire qualcosa in più sulla condizione di base. Compito del fisioterapista sarà anche quello di indirizzare la persona al proprio medico di famiglia o a una delle reti di specialisti come un chirurgo ortopedico, un medico sportivo, un reumatologo, un neurologo o un podologo per avere una visione più ampia del caso e gestirlo nella maniera più appropriata.